Plastica facciale ai bimbi down

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00mercoledì 12 marzo 2008 22:32
Padova,chirurgo:"Operiamo i down"
Raccolto l'appello della bimba inglese

Francesco Mazzoleni, primario dell'unità operativa di chirurgia plastica dell'ospedale di Padova ha raccolto l'appello lanciato da una famiglia britannica che vuole operare i lineamenti della propria bambina affetta dalla sindrome di Down. Immediata la polemica per i risvolti medici e morali che l'operazione scatenerebbe. Il chirurgo dice di avere già pronto un protocollo di intervento.

Mazzoleni, in un'intervista al 'Gazzettino', spiega di aver predisposto anche una sorta di protocollo ad hoc per intervenire su lingua, occhi e orecchi di questi ragazzi, ma di averlo tenuto finora nel cassetto, a causa delle grandi resistenze incontrate sul tema. Eppure, secondo il professore padovano, di un centro di riferimento a livello veneto di questo tipo "ci sarebbe davvero bisogno".

"Se rendere i bambini Down meno tipici - osserva Mazzoleni - agevola le relazioni interpersonali, se migliorando l'aspetto fisico si facilitano i rapporti con i coetanei, che male c'è? Non va forse nella direzione di una maggior accoglienza?".

Secondo il primario "un intervento di chirurgia plastica nei ragazzi con sindrome non del tipo più grave, ma spuria, potrebbe sicuramente migliorare le loro vita, a cominciare da quella di relazione".

"L'operazione non serve a nulla"
"Annullare con interventi di chirurgia plastica i tratti somatici tipici delle persone Down non migliorano l'accettabilità sociale. Per questo siamo contrari a iniziative di questo tipo". E' il parere di Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'associazione italiana persone Down.

"A meno che non rispondano a criteri fisiologici diretti a rimuovere ostacoli fisiologici alla respirazione o alla masticazione, - spiega Contardi - gli interventi di chirurgia agli occhi, al naso o alla lingua non li favoriamo. Almeno per due motivi: il primo perché non è migliorando l'aspetto estetico che si migliora l'accettabilita' sociale. Pensiamo invece che sia più importante l'educazione all'autonomia che conta assai di più per inserirsi. In secondo luogo - aggiunge Contardi - posso dire che nella mia esperienza di quasi 30 anni di vita con queste persone, alcuni elementi identificativi fanno scattare una presa di coscienza della propria identità e a volte atteggiamenti di protezione sociale nei loro confronti".


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